Quanto alla quarta considerazione, e da sapere; che da poichè il vero amore di Cristo ebbe perfettamente trasformato Santo Francesco in Dio, e nella vera immagine di Cristo Crocifisso; avendo compiuto la Quaresima di quaranta dì, a onore di Santo Michele Arcangelo in sul Santo Monte della Vernia dopo la solennitade di Santo Michele, discese dal Monte l’Angelico uomo Santo Francesco, con Frate Lione, e con un divoto villano; in sul cui asino egli sedea, per cagione delli chiovi de’ piedi, e non potea bene andare a piede. Essendo adunque disceso del Monte Santo Francesco; imperocchè la fama della sua santità era già divulgata per lo paese, e da’ pastori s’era sparto, come aveano veduto tutto infiammato il Monte della Vernia, e che egli era segnale di qualche grande miracolo, che Iddio avea fatto a Santo Francesco; udendo la gente della contrada che egli passava, tutti traevano a vederlo, e uomini e femmine, e piccoli e grandi, i quali tutti con grande divozione e disiderio, s’ingegnavano di toccarlo e di baciargli le mani: e non potendole egli negare alla divozione delle genti, bench’egli avesse fasciate le palme, nientedimeno per occultare più le sacre sante Istimate, si le fasciava ancora e coprivale colle maniche, e solamente le dita iscoperte porgea loro a baciare. Ma contuttochè egli studiasse di celare, e nascondere il sacramento delle sacre sante Istimate, per fuggire ogni occasione di gloria mondana, a Dio piacque per gloria sua mostrare molti miracoli, per virtù delle dette sacre sante Istimate; e singularmente in quello viaggio dalla Vernia a Santa Maria degli Angeli, e poi moltissimi in diverse parti del mondo, in vita sua, e dopo la sua gloriosa morte; acciocchè la loro occulta e maravigliosa virtude, e la eccessiva caritade e misericordia di Cristo inverso lui, a cui egli l’avea maravigliosamente donate, si manifestasse al mondo, per chiari ed evidenti miracoli, de’ quali ne porremo qui alquanti. Onde appressandosi allora Santo Francesco a una villa, ch’era in su li confini del contado d’Arezzo, se gli parò dinanzi con grande pianto una donna con un suo figliuolo in braccio, il quale avea otto anni, che li quattro era stato ritropico; ed era sì isconciamente enfiato nel ventre, che stando ritto non si poteva riguardare a’ piedi: e ponendogli questa donna quello figliuolo dinanzi, e pregandolo che pregasse Iddio per lui; e Santo Francesco si pose prima in orazione, e poi fatta l’orazione, pose le sue sante mani sopra il ventre del fanciullo; e subitamente fu risoluta ogni enfiatura, e fu perfettamente sanato, e rendello alla sua madre; la quale ricevendolo con grandissima allegrezza e menandoselo a casa, ringraziò Iddio e Santo Francesco; e ‘l figliuolo guarito mostrava volentieri a ‘tutti quelli della contrada, che venivano a casa sua per vederlo. Il dì medesimo passò S. Francesco per lo borgo a Santo Sepolcro, ed innanzi che s’appressasse al Castello, le turbe del Castello e delle ville: gli si feciono incontro, e molti di loro gli andavano innanzi co’ rami d’ulivi in mano, gridando forte: Ecco il santo, ecco il santo; e per divozione e voglia, che le genti aveano di toccarlo, faceano grande calca e pressa sopra lui: ma egli andando colla mente elevata e ratta in Dio per contemplazione, quantunque e’ fusse dalla gente toccato, e tenuto e tirato; a modo che persona insensibile, non ne sentì niente di cosa, che intorno a sè fusse fatta, o detta; nè eziandio s’avvide, che e’ passasse per quello Castello, nè per quella contrada. Onde passato il borgo, e tornatesi le turbe a casa loro; giugnendo egli ad una casa di lebbrosi, di là dal borgo bene uno miglio, e ritornando in sè, a modo come se venisse dallo altro mondo, il celestiale contemplatore domandò il compagno: Quando saremo noi presso al borgo? Veramente l‘anima sua fissa e ratta in contemplazione delle cose celestiali, non avea sentita cosa terrena nè varietà di luoghi, nè di tempi, nè di persone occorrenti. E questo più altre volte addivenne, secondo che per chiara esperienza provarono i compagni suoi. Giugne in quella sera Santo Francesco al luogo de’ frati di Monte Casale, nello quale luogo si era uno frate sì crudelmente infermo, e sì orribilmente tormentato della infermità, che ‘l suo male parea piuttosto tribolazione e tormento di Demonio, che infermità naturale; imperocchè alcuna volta egli si gittava tutto in terra con tremore grandissimo, e con ischiuma alla bocca; or quivi gli si attrappavano tutti gli nerbi del corpo, or si stendevano, or si piegavano, or si storcevano, or si raggiugneva la collottola colle calcagna; e gittavasi in alto, e immantinente ricadea supino. E essendo Santo Francesco a tavola, e udendo da’ Frati di questo Frate così miserabilmente infermo e senza rimedio, ebbegli compassione; e prese una fetta del pane che egli mangiava, e fecevi suso il segno della santissima Croce con le sue sante mani istimatiz e mandolla al Frate infermo: il quale come fu perfettamente guarito, e mai più npn sentì quella infermità. Viene la mattina e Santo Francesco manda due di quelli erano in quello luogo, a stare alla Vernia, con loro il villano, che era venuto com lui dietro allo asino, lo quale gli avea prestato, volendo che con essi egli si ritorni a casa sua. Andarono li frati col detto villano; e entrando nel contado di Arezzo, vidongli da lungi certi della contrada, e ebbonne grande allegrezza, pensando che fusse Santo Francesco, il quale v’era passato due dì dinanzi: imperocchè una loro donna; la quale sopra a partorire tre dì era stata, e non potendo partorire, si moria; eglino si pensavano di riaverla sana e libera, se Santo Francesco le ponesse le sue sante mani addosso. Ma appressandosi i detti Frati, poichè coloro ebbono cognosciuto, che non v’era santo Francesco, n’ebbono grande malinconia, ma addove non era il Santo corporalmente, non mancò; però la sua virtù, perocchè non mancò la loro fede. Mirabile cosa! la donna si moriva, e già avea i tratti della morte. Domandano costoro li Frati, s‘eglino avessono cosa toccata dalle mani santissime di Santo Francesco. Pensano, e cercano li Frati diligentemente; ed in somma non si trova nessuna cosa, che Santo Francesco abbia toccato con le sue mani, se non il capresto dello asino, in sul quale egli era venuto. Prendono costoro cotesto capresto con grande riverenzia e divozione, e pongonlo in su ‘l corpo della donna gravida, chiamando divotamente il nome di Santo Francesco, e a lui raccomandandosi fedelmente. E che più? Si tosto come la donna ebbe sopra di sè il detto capresto, subitamente fu liberata da ogni pericolo, e partorì con gaudio agevolmente, e con salute. Santo Francesco, poichè fu stato alquanti dì nel detto luogo, si partì e andò alla Città di Castello: ed eccoti molti cittadini, che li menavano innanzi una femmina indemoniata per lungo tempo, e sì lo pregavano umilmente per la sua liberazione; imperocchè ella, or con urli dolorosi, or con crudeli strida, or con latrare canino, tutta la contrada turbava. Allora Santo Francesco, fatta prima orazione, e fatto sopra di lei il segno della santissima Croce, comandò al Demonio, che si partisse da lei: e subitamente si partì, e lasciolla sana del corpo e dello intelletto. E divolgandosi questo miracolo nel popolo, un’altra donna con grande fede gli portò un suo fanciullo infermo grave d’una crudele piaga, e pregollo divotamente, che li piacesse di segnarlo colle sue mani. Allora Santo Francesco, accettando la sua divozione, prese questo fanciullo e lieva la fascia della piaga e benedicelo, facendo tre volte il segno della santissima Croce sopra la piaga, e poi colle sue mani sì lo rifascia, e rendelo alla sua madre: e perocchè era sera, ella se lo mise immantanente nel letto a dormire. Va poi costei la mattina, per trarre figliuolo dal letto, e trovollo sfasciato; e guarda, e trovalo si perfettamente guarito, come se mai non avesse avuto male nessuno; eccetto che nello luogo della piaga v’era sopra cresciuta la carne, in modo d’una rosa vermiglia: e questo piuttosto in testimonio del miracolo, che in segno della piaga; imperocchè la detta rosa istando in tutto il tempo della vita sua, spesse volte lo ‘nduceva a divozione di Santo Francesco, il quale l’avea guarito. In quella Città dimorò allora Santo Francesco un mese, a’ prieghi de’ divoti cittadini, nel qual tempo egli fece assai altri miracoli; e poi si partì di quivi, per andare a Santa Maria degli Angeli con Frate Lione, e con uno buono uomo, il quale gli prettava il sup asinello, in sul quale Santo Francesco andava. Addivenne che, tra per le male vie, o per lo freddo grande, camminando tutto il dì, e’ non poterono giugnere a luogo veruno, dove potessono albergare: per la qual cosa costretti dalla notte e dal mal tempo, eglino si ricoverarono sotto la ripa d’uno sasso cavato, per cessare la neve e la notte, che sopravveniva. E standosi così sconciamente, e anche male coperto il buon uomo di cui era l’asino, e non potendo dormire per lo freddo; e modo non vi era di fare punto di fuoco; si ‘ncominciò a rammaricare pianamente fra sè medesimo, e piagnere; e quasi mormorava di Santo Fruncesco, che in tale luogo l’avea condotto. Allora Santo Francesco sentendo questo, si gli ebbe compassione; e in fervore di spirito istende la mano sua addosso di costui, e toccalo. Mirabile cosa! di subito ch’egli l’ebbe toccato colla mano incesa e forata dal fuoco del Serafino, si partì ogni freddo; e tanto caldo entrò in costui dentro e di fuori, che li parea essere presso alla bocca d’una fornace ardente: onde egli immantanente confortato nella anima e nel corpo, s’addormentò; e più suavemente, secondo il suo dire, egli dormì quella notte tra’ sassi e tra la neve insino alla mattina, che non avea mai dormito nel proprio letto. Camminarono poi l’altro di, e giunsono a Santa Maria degli Angeli: e quando e’ v’erano presso, Frate Lione lieva alto gli occhi, e si guatava inverso il detto luogo di Santa Maria degli Angeli, e vide una Croce bellissima, nella quale era la figura del Crocifisso, andare dinanzi a Santo Francesco, il quale gli andava innanzi; e così conformemente andava la detta Croce dinanzi alla faccia di Santo Francesco, che quando egli restava, ed ella restava, e quando egli andava, ed ella andava: ed era di tanto splendore quella Croce, che non solamente risplendea nella faccia di Santo Francesco, ma eziandio tutta la via d’intorno era alluminata; e bastò insino che Santo Francesco entrò nel luogo di Santa Maria degli Angeli. Giugnendo dunque Santo Francesco con Frate Lione, furono ricevuti da’ Frati con somma allegrezza e carità. E d’allora innanzi Santo Francesco dimorò il più del tempo in quello luogo di Santa Maria degli Angeli, insino alla morte. E continuamente si spandea più e più per lo Ordine, e per lo mondo la fama della sua santità, e de’ suoi miracoli, quantunque egli per la sua profondissima umiltà celasse, quanto potea, i doni e le grazie di Dio, ed appellassesi grandissimo peccatore. Di che maravigliandosi una volta Frate Lione, e pensando iscioccamente fra sè medesimo: Ecco, costui si chiama grandissimo peccatore in pubblico; e’ venne grande allo Ordine; e tanto è onorato da Dio; e nientedimeno in occulto e’ non si confessa mai del peccato carnale; sarebbe mai egli vergine? e sopra a ciò gli cominciò a venir grandissima volontà di saperne la verità; ma nor era ardito di domandarne Santo Francesco, onde egli ne ricorse a Dio; e pregandolo istantemente, che lo certificasse di quello che desiderava di sapere, per la molta orazione e merito di Santo Francesco, fu esaudito, e certificato che Santo Francesco era vergine veramente del corpo, per tale visione. Imperocchè egli vide in visione Santo Francesco istare in uno luogo alto e eccellente, al quale veruno potè andare, nè ad esso aggiugnere; e fugli detto in ispirito, che quello luogo così alto e eccellente significava in Santo Francesco la eccellenza della castità verginale, la quale ragionevolmente si confaceva alla carne, che dovea essere adornata delle sacre sante Istimate di Cristo. Veggendosi Santo Francesco, per cagione delle Istimate di Cristo appoco appoco venire meno la forza del corpo, e’ non potere avere più cura del reggimento dello Ordine, affrettò il Capitolo generale: il quale essendo tutto ragunato, ed egli umilmente si scusò alli Frati della impotenzia, per la quale egli non potea più attendere alla cura dello Ordine, quanto alla esecuzione del generalato; benchè lo ufficio del generalato non renunziasse, perocchè non potea, dappoichè fatto era Generale dal Papa; e però ‘e non potea lasciare l’ufficio, nè sustituire successore senza espressa licenza del Papa; ma istituì suo Vicario Frate Pietro Cattani, raccomandando a lui ed alli Ministri provinciali l’Ordine affettuosamente, quanto egli potea più. E fatto questo, Santo Francesco confortato in ispirito, levando gli occhi e le mani al Cielo, disse così: a te, Signore Iddio mio, a te raccomando la tua famiglia, la quale insino a ora tu mi hai commessa, e ora per le infermitadi mie, le quali tu sai, dolcissimo Signore mio, io non ne posso più avere cura. Anche la raccomando a’ Ministri Provinciali; sieno tenuti eglino a rendertene ragione il dì del giudicio, se veruno Frate, per loro negligenzia, o per loro male esemplo, o per loro troppo aspra correzione perirà. Ed in queste parole, come a Dio piacque, tutti li Frati del Capitolo intesono che parlasse delle sacre sante Istimate, in quel ch’egli si iscusava per infermitade; e per divozione nessuno di loro innanzi non si potè tenere di non piagnere. E d’allora innanzi lasciò tutta la cura e ‘l regimento dello Ordine nella mano del suo Vicario, e delli Ministri Pprovinciali; e dicea: Ora dappoich’io ho lasciata la cura dello Ordine per le mie infermità, io non sono tenuto oggimai, se non a pregare Iddio per la nostra Religione, e di dare buono esemplo alli Frati. E ben so di veritade, che se la infermità mi lasciasse, il maggiore ajuto ch’io potessi fare alla Religione, sarebbe di pregare continuamente Iddio per lei, che egli la difenda e governi e conservi. Ora, come detto è di sopra, avvegnachè Santo Francesco s’ingegnasse quanto potea di nascondere le sacre sante Istimate, e dappoichè le ebbe ricevute, andasse sempre, o stesse colle mani fasciate e co’ piedi calzati, non potè però fare, che molti Frati in diversi modi non le vedessero e toccassero, e quella spezialmente del costato, la quale egli con maggiore diligenzia si sforzava di celare. Onde uno Frate che lo serviva, una volta lo ‘ndusse con divota cautela a trarsi la tonica, per iscuoterla dalla polvere; e traendosela in sua presenza, quel Frate vide chiaramente la piaga del costato; e mettendogli la mano in seno velocemente, sì la toccò con tre dita, e comprese la sua quantità e grandezza: e per simile modo di quel tempo la vide il Vicario suo. Ma più chiaramente ne fu certificato Frate Ruffino, il quale era uomo di grandissima contemplazione; del quale disse alcuna volta Santo Francesco, che nel mondo non era più santo uomo di lui, e per la sua santità egli intimamente l‘amava, e compiacevagli in ciò che e’ volea. Questo Frate Ruffino in tre modi, sè ed altrui certificò delle dette sacre sante Istimate, e spezialmente di quella del costato. Il primo si fu; che dovendo lavare i panni di gamba; li quali Santo Francesco portava si grandi, che’ tirandogli ben sù, con essi copriva la piaga del lato ritto; il detto Frate Ruffino li riguardava e considerava diligentemente, e ogni volta gli trovava sanguinosi dal lato ritto; per la qual cosa egli si avvedea certamente, che quello era sangue che gli usciva della detta piaga: di che Santo Francesco lo riprendea, quando vedea ch’egli spiegasse i panni che egli si traesse, per vedere il detto segnale. Il secondo modo si fu, che ‘l detto Frate Rufflno una volta grattando le reni a Santo Francesco, in vero studio egli trascorse colla mano, e mise le dita nella piaga del costato; di che Santo Francesco, per lo dolore che sentì, gridò forte: Iddio tel perdoni, o Frate Ruffino, perchè hai fatto così. Il terzo modo si fu, che una volta egli con grande istanza chiese a Santo Francesco, per grandissima grazia, che egli gli desse la sua cappa, e prendesse la sua per amore della carità, alla cui petizione, benchè malagevolmente condescendendo il caritativo Padre, si trasse la cappa e diegliele, e prese la sua; e allora nel trarre e rimettere, Frate Ruffino chiaramente vide la detta piaga. Frate Lione similmente, e molti altri Frati, vidono le dette sacre sante Istimate di Santo Francesco, mentre che vivea: li quali Frati, benchè per la loro santitade fossero uomini degni di fede, e da credere loro alla semplice parola; nientedimeno, per torre via ogni dubbio di cuori, giurarono in sul Santo Libro, che eglino l’aveano vedute chiaramente. Viddonle eziandio alquanti Cardinali, li quali aveano con lui grande famigliaritade, e in riverenzia delle dette sacre sante Istimate di Santo Francesco, compuosono e feciono belli e divoti Inni, ed Antifone, e Prose. Il sommo Pontefice Alessandro Papa, predicando al popolo; dove erano tutti li Cardinali, tralli quali era il Santo Frate Buonaventura, che era Cardinale; disse e affermò, che egli avea veduto co’ suoi occhi le sacre sante Istimate di Santo Francesco, quando egli era vivo. E madonna Jacopa di Settensoli da Roma, la quale era la maggiore donna di Roma al suo tempo, ed era divotissima di Santo Francesco, e le vide prima che egli morisse, e poi molto che tu, le vide e le baciò più volte con molta riverenzia, perocch’ella venne da Roma ad Ascesi per la morte di Santo Francesco, per divina rivelazione, e fue in questo modo. Santo Francesco, alquanti dì innanzi alla morte sua, istette infermo in Ascesi nel Palagio del Vescovo con alquanti de’ suoi compagni, e con tutta la sua infermità egli ispesse volte cantava certe laude di Cristo. Uno dì gli disse uno de’ suoi compagni: Padre, tu sai che questi cittadini hanno grande fede in te, e réputanti uno santo uomo; e perciò e’ possono pensare, che se tu se’ quello che elli credono, tu doveresti in questa tua infermità pensare della morte, e innanzi piagnere che cantare, poichè tu se’ così gravemente infermo; e intendi, s’ode da molti e del Palagio, e di fuori; imperocchè questo Palagio si guarda per te da molti uomini armati, i quali forse ne potrebbono avere male esemplo. Onde io credo, disse cotesto Frate, che tu faresti bene a partirti di quinci, e che noi ci tornassimo tutti a Santa Maria degli Agnoli, perocchè noi non istiamo bene qui tra li secolari. Li risponde Santo Francesco: Carissimo Frate, tu sai, che ora fa due anni, quando noi istavamo in Fuligno, Iddio ti rivelò il termine della vita mia, e così la rivelò ancora a me, che di qui a pochi dì, in questa infermità, il detto termine si finirà: e in quella rivelazione Iddio mi fece certo della remissione di tutti i miei peccati, e della beatitudine del Paradiso. Insino a quella rivelazione, io piansi della morte, e delli miei peccati: ma poich’io ebbi quella rivelazione, io sono sì pieno d’allegrezza, ch’io non posso più piagnere; e però io canto e canterò a Dio, il quale m’ha dato il bene della grazia sua, ed hammi fatto certo de’ beni della gloria di Paradiso. Del nostro partire di quinci, io acconsento e piacemi; ma trovate modo di portarmi, imperocchè io per la infermità uon posso andare. Allora i Frati lo presono a braccia, e sì ‘l portarono, accompagnati cioè da molti cittadini. E giugnendo ad uno spedale, che era nella via, Santo Francesco disse a quelli che ‘l portavano: Ponetemi in terra, e rivolgetemi in verso la Cittade, e posto che fu colla faccia inverso Ascesi, egli benedisse la Cittade di molte benedizioni dicendo: Benedetta sia tu da Dio, Città santa, imperocchè per te molte anime si salveranno, e in te molti servi di Dio abiteranno, e di te molti ne saranno eletti al reame di vita eterna. E dette queste parole, si fece portare oltre a Santa Maria degli Angeli. E giunti che furono a Santa Maria degli Angeli, sì lo portarono alla infermeria, e ivi il puosono a riposare. Allora Santo Francesco chiamò a sè uno de’ compagni, e sì gli disse: Carissimo Frate, Iddio m’ha rivelato, che di questa infermità, insino a cotal dì, io passerò di questa vita; e tu sai, che madonna Jacopa di Settensoli divota carissima dello Ordine nostro, s’ella sapesse la morte mia, e non ci fusse presente, ella si contristerebbe troppo, e però signiticale, che se ella mi vuol vedere vivo, immantinente venga qui. Risponde il Frate: Troppo di’ bene, Padre; che veramente per la grande divozione che ella ti porta, e’ sarebbe molto isconvenevole, che ella non fusse alla morte tua. Va dunque, disse Santo Francesco, e recami il calamajo, e’ fogli, e la penna, e iscrivi com’io ti dico, e recato ch’egli l’ebbe, Santo Francesco détta la lettera in questa forma: A madonna Jacopa serva di Dio, Frate Francesco poverello di Cristo, salute e compagnia dello Spirito Santo nel nostro Signore Gesù Cristo. Sappi, carissima, che Cristo benedetto per la sua grazia m’ha rivelato il fine della mia vita, il quale sarà in brieve. E però, se tu mi vuoi trovare vivo, veduta questa lettera, ti muoverai, e vieni a Santa Maria degli Angeli; imperocchè, se per infino a cotale dì non sarai venuta, non mi potrai trovare vivo: ed arreca teco panno di ciliccio, nel quale si rivolga il corpo mio, e la cera che bisogna per la sepoltura. Priegoti ancora, che tu mi arrechi di quelle cose da mangiare, delle quali tu mi solevi dare, quando io era infermo a Roma. E mentre che questa lettera si scriveva, fu da Dio rivelato a Santo Francesco, che madonna Jacopa venia a lui, ed era presso al luogo, e recava seco tutte quelle cose, ch’egli mandava chiedendo per la lettera. Di che, avuta questa rivelazione, disse Santo Francesco al Frate che scriveva la lettera, che non iscrivesse più oltre, poichè non bisognava, ma riponesse la lettera, della qual cosa molto si maravigliarono i Frati, perchè non compiva la lettera, e non volea che ella si mandasse. E istandosi così un pezzo, la porta del luogo fu picchiata forte, e Santo Francesco mandò il portinajo ad aprire: ed aprendo la porta, quivi si era madonna Jacopa nobilissima donna di Roma, con due suoi figliuoli Senatori di Roma, e con grande compagnia di uomini a cavallo, ed entrarono dentro; e madonna Jacopa se ne va diritto all’infermeria, e giugne a Santo Francesco. Della cui venuta Santo Francesco ebbe grande allegrezza e consolazione, ed ella similmente veggendo lui vivo e parlandogli. Allora ella gli spuose, come Iddio le avea rivelato a Roma, istando ella in orazione, il termine brieve della sua vita, e come egli dovea mandare per lei e chiedere quelle cose, le quali tutte ella disse che le aveva arrecate: e sì le fece arrecare a Santo Francesco, e diedegliene a mangiare, e mangiato che egli ebbe, e molto confortatosi, questa Madonna Jacopa s’inginocchiò a’ piedi di Santo Francesco, e prendè quei santissimi piedi segnati e ornati delle piaghe di Cristo: e con sì grande eccesso di divozione gli baciava e bagnava di lagrime i piedi, che a’ Frati che stavano dintorno, parea vedere propriamente la Maddalena a’ piedi di Gesù Cristo; e per nessuno modo la ne poteano spiccare. E finalmente dopo grande ispazio, la levarono d’indi e trassonla da parte; e domandaronla, come ella era venuta così ordinatamente e così prorveduta di tutte quelle cose, che erano di mestieri alla vita, e alla sepultura di Santo Francesco. Rispuose Madonna Jacopa; che orando ella a Roma una notte, ed ella udì una voce di Cielo, che disse: Se tu vuoi trovare Santo Francesco vivo, senza indugio va ad Ascesi, e porta teco quelle cose, che tu li suoli dare quando è infermo, e quelle cose le quali saranno bisogno alla sepultura; ed io, disse ella, così ho fatto. Stette adunque ivi la detta Madonna Jacopa insino a tanto, che Santo Francesco passò di questa vita, e che fu seppellito; ed alla sua sepultura fece grandissimo onore ella con tutta la sua compagnia, e fece tutta la spesa di ciò che fu di bisogno. E poi ritornandosi a Roma, ivi a poco tempo questa gentile donna si morì santamente; e per divozione di Santo Francesco si giudicò, e volle essere portata e seppellita a Santa Maria degli Angeli, e così fu.
Come Messere Jeronimo toccò, e vide le sacre e sante Istimate di Santo Francesco, che prima non le credea.
Nella morte di Santo Francesco, non solamente la detta Madonna Jacopa, e li figliuoli colla sua compagnia vidono, e baciarono le gloriose sacrate Istimate sue, ma eziandio molti cittadini d’Ascesi fra’ quali uno Cavaliere molto nominato e grande uomo, che aveva nome Messere Jeronimo, il quale ne dubitava molto ed erane iscredente, come Santo Tommaso Apostolo di quelle di Cristo; e per certificarne sè e gli altri, arditamente innanzi alli Frati ed alli secolari, movea di chiovi delle mani e de’ piedi, e trassinava la piaga del costato evidentemente. Per la quale cosa egli poi n’era costante testimonio di quella verità, giurando in sul Libro, che così era, e così avea veduto e toccato. Vidonle ancora, e baciaronle le gloriose sacre sante Istimate di Santo Francesco Santa Chiara colle sue Monache, le quali furono presenti alla sua sepultura.
Del dì, e dello anno della morte di Santo Francesco.
Passò di questa vita il glorioso Confessore di Cristo, Messere Santo Francesco, l’anno del nostro Signore mile dugento ventisei, a dì quattro d’Ottobre il Sabato, e fu seppellito la Domenica. In quello anno era l’anno vigesimo della sua conversione, cioè quando avea cominciato a fare penitenzia, ed era il secondo anno dopo la ‘mpressione delle sacre sante Istimate, ed era negli anni quarantacinque della sua nativitade.
Della Canonizzazione di Santo Francesco.
Poi fu canonizzato Santo Francesco, nel mille dugento venti otto, da Papa Gregorio Nono, il quale venne personalmente ad Ascesi a canonizzarlo. E questo basti alla quarta Considerazione.